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Chatbot: cos’è e perché (non) funziona

I chatbot sono lo strumento a cui molte aziende si approcciano nella speranza di abbattere i costi di customer care. Spesso presentati dalle agenzie come la soluzione definitiva ai problemi di budget, si rivelano spesso strumenti di auto-distruzione; ecco perché:

I chatbot sono strumenti di self-care con cui gli utenti, attraverso l’interazione con pulsanti e campi di inserimento ottengono risposte alle proprie esigenze. I chatbot non tengono in considerazione aspetti legati al rapporto con l’utente: al di là della mera cordialità dei testi che appaiono in chat, il comportamento dell’utente non ha alcun effetto sulla qualità della risposta, né la modifica in alcun modo.

Ad esempio: quando un utente si approccia al customer service di un’azienda, egli è fortemente condizionato dal motivo per cui sta per contattare il servizio:

  • se l’utente avrà da fare delle rimostranze, egli tenderà a mettersi sulla difensiva preparandosi a difendere le proprie motivazioni,
  • se l’utente avrà solo bisogno di un’informazione, il suo tono sarà prevalentemente neutro o positivo.

Il chatbot non tiene in alcuna considerazione tutto questo (non ne è in grado) e ad un utente che esprime grande insoddisfazione, risponde con la stessa cordialità di cui sopra spesso minando quanto rimane di buono della relazione tra l’utente e l’azienda.

Tra l’altro, l’utente medio mostra una certa sensibilità nel giudicare il comportamento tenuto dall’operatore quando risponde alle sue richieste: in presenza di un chatbot, ovvero in “assenza” di un operatore, la sensazione sarà che l’idea che si materializzerà nella mente dell’utente è che l’azienda non ha alcuna intenzione di investire nella soddisfazione dei clienti ma altresì che vuole esaurire le loro richieste senza alcun impegno “umano”.

In una ricerca di NewVoiceMedia del 2018 disponibile su BusinessWire, il livello di insoddisfazione degli utenti è più che tangibile: se da un lato la stragrande maggioranza degli intervistati lamenta una profonda incapacità dei chatbot di affrontare e risolvere i loro problemi, dall’altro si evince che “quando una situazione diventa emotiva o complessa, la gente chiede di poter avere contatto con un operatore umano” (cit.).

Quando le conversazioni diventano emotive

Dennis Fois, presidente di NewVoiceMedia, afferma che:  “[…] le conversazioni stanno diventando più complesse e di maggior valore e le interazioni personali ed emotive con i clienti giocano un ruolo fondamentale nel colmare il divario per ciò che l’innovazione digitale da sola non può risolvere”.

Dennis Fois continua affermando che la soluzione starebbe nel mantenere una presenza “umana” nel customer care e di sostenerne i costi.

È quando le conversazioni diventano emotive che la tecnologia deve imparare ad essere sensibileThe Laila® Team

Le Intelligenze Artificiali Conversazionali

Un’altra strada percorribile è quella di investire in Intelligenze Artificiali Conversazionali. Questi strumenti consentono di mettere in campo operatori conversazionali (non chatbot) che sono in grado di mantenere il livello di comunicazione su standard “umani”. Gli operatori conversazionali si relazionano con gli utenti “dialogando” in linguaggio naturale e simulando il comportamento di una persona fino al punto in cui gli utenti non sono in grado di capire se stanno dialogando con un umano o con un sistema informatico.

Gli operatori conversazionali sono alla base del funzionamento di Laila®: le Intelligenze Artificiali di Laila® sono in grado di “percepire” lo stato d’animo dell’utente e di adeguare le proprie risposte alla conversazione al fine di ridurre gli attriti e di ottenere il massimo coinvolgimento possibile.